22 FEBBRAIO 2022
LA DISCIPLINA FISCALE DELLE CRIPTOVALUTE
Redazione Consilia
La rapida diffusione delle Criptovalute in Italia ha posto numerosi interrogativi sotto il profilo normativo attesa la natura giuridica piuttosto incerta che ha portato i più ad assimilarle, in varie circostanze, alle valute estere, a beni materiali o a beni immateriali.
Unanime è il consenso sull’assunto che le Cripotvalute non sono prodotti finanziari, in quanto non sono autonomamente produttivi di un rendimento finanziario.
L’incertezza circa la natura giuridica delle Criptovalute comporta la difficolta di assoggettare tali asset al corretto regime fiscale. In diverse occasioni l’AdE ha sostenuto che le Criptovalute sono assimilabili alle valute estere agli effetti dell’imposizione dei soggetti non esercenti attività d’impresa (risp. n. 72/E/2016, n. 956/39/2008, n. 110/2020 e n. 788/2021).
Tale tesi è stata motivata dalla sentenza della CGUE del 22 ottobre 2015, C-264/14, che ha ritenuto configurabili le Criptovalute come valute estere agli effetti dell’IVA per il fatto che il “bitcoin non abbia altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento e che essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori”. La sentenza sopra citata assimila, quindi, le operazioni in valute virtuali a quelle «relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio»; ciò anche se ormai è stato chiarito da più parti — a partire dalla Banca Centrale Europea, ma anche nell’ambito dei lavori del G20 – che questi «beni virtuali» non devono più essere considerati “valute”, ma attività virtuali (crypto-assets).
In tal senso la disciplina fiscale degli obblighi di comunicazione all’Agenzia delle Entrate dei trasferimenti da o verso l’estero di mezzi di pagamento previsti dall’art. 1 del d.l. n. 167/1990 ha incluso fra i trasferimenti di mezzi di pagamento da comunicare anche le operazioni di trasferimento “effettuate anche in valuta virtuale”.
Anche la lett. qq) dell’art. 1 della normativa antiriciclaggio ha definito come “valuta virtuale” ogni “rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’Autorità pubblica … utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento”.
Considerare le Criptovalute come valute estere implica che:
Alla luce di quanto sopra, la cessione a titolo oneroso di Criptovalute può generare plusvalenze imponibili, e in quanto tali tassabili con aliquota al 26%, in due sole ipotesi:
A tal fine, il prelievo da un wallet equivale ad una cessione a titolo oneroso e la giacenza media va verificata rispetto all’insieme dei wallet detenuti dal contribuente, indipendentemente dalla tipologia dei wallet utilizzata.
Costituisce cessione anche la conversione di una valuta virtuale in un’altra valuta virtuale o in euro o in un’altra valuta avente corso legale. Questo chiarimento, per quanto condivisibile, ci differenzia da quanto previsto in altri Paesi, come la Francia, dove la conversione da un crypto-asset ad un altro non dà luogo a redditi imponibili.
Il legislatore ha così voluto tassare le plusvalenze delle valute estere solo nelle ipotesi in cui tali valute siano utilizzate come strumento di investimento e non anche come mezzo di scambio.
È utile, allora, chiedersi quando le Criptovalute possano essere considerate come detenute su depositi o conti correnti. Tale circostanza si verifica solo quando la disponibilità delle criptovalute sia imputabile ad un soggetto terzo: la lett. c-ter) dell’art. 67 del TUIR fa infatti espresso riferimento a rapporti che presuppongono una controparte.
Da questo punto di vista, la chiave privata è l’elemento dirimente in quanto conferisce il potere di disporre delle Criptovalute, infatti:
L’AdE si è posta in antitesi rispetto all’ipotesi sopra descritta in quanto, nel riconoscere che i wallet sono distinguibili anche in base “al controllo o meno della chiave privata da parte dell’utente”, ha precisato che occorrerebbe tener conto delle Criptovalute detenute su wallet, indipendentemente dalla loro tipologia.
Le Criptovalute vanno indicate nel quadro RW anche se detenute in wallet con chiave privata. L’AdE in risposta a interpello 788/2021 tratta, infatti, gli obblighi di monitoraggio riferiti alla detenzione di valute virtuali in digital wallet e ribadisce quanto già precisato dall’Amministrazione finanziaria in precedenti documenti di prassi. Nello specifico, il contribuente ha l’obbligo di inserire l’ammontare delle criptovalute detenute nel rigo RW1 nella colonna 3 il codice 14, ossia “Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali”.
Con riferimento ai redditi derivanti dal mining:
Per quanto attiene agli altri token e cioè ai security token, agli utility token e per quanto riguarda i Non-fungible token (NFT) il relativo regime fiscale dipende dalla natura giuridica dell’asset incorporato nel token e dalla relativa regolamentazione contrattuale. Ed infatti tali token costituiscono una particolare forma di rappresentazione di asset.
I redditi realizzati mediante NFT rappresentativi di opere d’arte digitali potrebbero risultare configurabili:
La pronuncia dell’AdE mostra in tutta la sua gravità l’assenza di norme di diritto civile che diano una definizione univoca e omnicomprensiva dei cripto assets, nelle more della conclusone del processo legislativo comunitario riguardante il Regolamento Mi.Ca. (Regulation on markets in crypto assets) su cui il Consiglio europeo ha recentemente raggiunto un accordo.
La soluzione migliore, che conferirebbe certezza agli investitori e agli intermediari, ponendo le basi per uno sviluppo ordinato del mercato di queste attività anche in Italia, passerebbe dall’introduzione, come avvenuto in altri Paesi, di una normativa tributaria ad hoc sui cripto-assets, che ne riconoscesse le peculiarità e ne evitasse l’assimilazione a beni e a discipline tributarie troppo distanti dal fenomeno della finanza digitale.
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